Dettagli
Anno di pubblicazione
1800-1801
Pagine
pp. VIII 151 [1] bianca; VIII 248; 176.
Editori
Dalla Tipografia Milanese in Strada Nuova,
Edizione
Edizione originale.
Soggetto
StoriaEconomia e scienze socialiLetteratura Antica
Descrizione
brossura officinale muta,
Descrizione
LIBROEdizione originale.Bellissimo esemplare a pieni margini con barbe, nella sua brossura muta d’attesa (fisiologici segni del tempo: dorsi leggermente ingialliti, angoli arricciati, qualche mancanza marginale alla brossura muta e un restauro integrativo al piede della quarta di copertina del terzo volume); interno freschissimo e pulito. L’esemplare sopravanza di oltre due centimetri in altezza (e oltre uno in larghezza) quello della raccolta Parenti. Preziosa firma d’appartenenza ottocentesca al primo risguardo di ciascun volume: «C. Guicciardi». Il Conte Diego Guicciardi (1756-1837), valtellinese, ministro di polizia e segretario di stato durante la Repubblica Cisalpina. All’uscita dell’opera presiedeva la Consulta di Stato. Dopo la restaurazione il Guicciardi, in origine più estremista del Melzi, mediò con il governo austriaco, e con la nascita della Cariplo (1823, allora «Cassa di Risparmio di Milano») fu il primo presidente della banca.«Di estrema rarità» (Parenti). Il Cuoco partecipò attivamente alle vicende della Repubblica Napoletana, incarcerato per alcuni mesi, esiliato con la confisca dei beni. Il «saggio storico» uscì anonimo in questa prima stampa, finanziata da un privato benefattore; ma ebbe immediato successo, affrontando con taglio innovativo il tema della «rivoluzione» nella storia dei popoli e nella sua struttura. Vincenzo Cuoco (1770-1823) si era formato sui testi di Machiavelli, poi studiando a fondo l’intera opera del Vico, con l’ambizioso progetto di giungere ad una vera e propria edizione critica; ma il lavoro preparatorio, assai corposo, andò perso durante l’incarcerazione. L’originalità del Cuoco consiste proprio in una sorta di trapianto dello spiritualismo storico vichiano nell’esperienza delle repubbliche italiane sorte dopo la rivoluzione francese; e in questo si guadagnò l’ammirazione del giovane Manzoni negli anni milanesi (cfr. G. Gentile, Vincenzo Cuoco, Roma, 1924). L’autore fu collaboratore del Murat dopo il rientro a Napoli, ricoprendo anche importanti cariche istituzionali; il ritorno dei Borboni coincise con la malattia mentale dei suoi ultimi anni. Questo saggio è il trattato di filosofia della storia più profondo e importante pubblicato in Italia nel XIX secolo, tra i più significativi del pensiero europeo; certamente non è riducibile a una qualche ala di correnti giacobine o moderate, tanto che, ad esempio, il concetto di «rivoluzione passiva» compare più volte nelle riflessioni di Gramsci. Il suo esame è spietato, vichiano e machiavellico insieme. «Ecco tutto il segreto delle rivoluzioni: conoscere tutto ciò che il popolo vuole, e farlo; egli allora vi seguirà. Distinguere ciò che vuole il popolo da ciò che vorreste voi, ed arrestarvi tosto che il popolo più non vuole; egli allora vi abbandonerebbe» (capitolo XVII). Un classico, senza dubbio.Nicolini, Nota all’edizione del Saggio storico, Laterza, 1913, p. 360, III; Melzi, Opere anonime e pseudonime, III p. 15; Parenti, Rarità, vol. VI, pp. 345-53