In-8°, pp. 307, legatura in mezza pelle con titolo in oro su tassello. Due ex libris al contropiatto anteriore. Edizione originale Poeta francese, nato il 22 ottobre 1818 a Saint-Paul (Isola della Riunione), morto il 17 luglio 1894 a Voisins (Louveciennes). Si stabilì definitivamente a Parigi, collaboratore al giornale 'fourierista' La Démocratie pacifique e alla rivista La Phalange. Il suo giovanile amore per la libertà, l'umanitarismo romantico alla George Sand s'accordavano in parte con quei principî: del resto, egli rimaneva soprattutto artista, pur accomodando vagamente le sue poesie alle idee del gruppo falansteriano. Non abbandonò mai gl'ideali di libertà, che la rivoluzione del '48 parve attuare: caldeggiò il decreto che aboliva la schiavitù dei Negri nelle isole, con danno della sua famiglia. Vennero le delusioni politiche, i giorni tristi, la miseria, ed egli visse dando lezioni di greco e latino. Il colpo di stato lo rinchiuse nell'attività artistica. I Poèmes antiques (1852), i Poèmes et Poésies (1855), le Poésies barbares (1862) sono tappe sulla via della gloria, se non della popolarità: egli allora apparve maestro ai giovani che stavano per formare il Parnasse. I quattro volumi dei Poèmes raccolgono l'opera essenziale di L., una delle più alte affermazioni della poesia francese nell'Ottocento. Saldamente unita nell'ispirazione, è come una 'leggenda dei secoli', grandi quadri potenti, che austeramente dicono il destino umano. Nelle religioni l'uomo ha espresso 'le forme ideali dei suoi sogni e delle sue speranze': tutte sono cadute, da quelle solenni dell'Oriente a quelle strane dell'Europa del Nord, della Polinesia; così anche l'ultima cadrà. Alla religione greca, in cui si manifesta il più bello di quei sogni, L. dedica i canti più luminosi, fervidi d'entusiasmo, gravi di rimpianto per il tramonto degli dei, il martirio di Ipazia. La condanna più severa è per il Geova ebraico, per il cristianesimo, soprattutto per il cattolicismo medievale e feroce. La storia millenaria dimostra la miseria, l'abiezione dell'uomo: violenze inaudite nell'Oriente, passioni delittuose anche nell'Ellade, truci barbarie nel Medioevo, banale decadenza nell'età presente. E la natura, fiera, lussureggiante, ove s'accampano gli animali belli e feroci, è calma nella sua splendida indifferenza al dolore umano. Ma il pessimismo di L. - spiegabile per la vita dura, le delusioni ideali sue e della sua generazione, l'influsso del pensiero contemporaneo - trova conforto nell'aspetto della natura, nel dissolversi in essa, pregustando l'annientamento finale, nella saggezza panteistica, persuasa della universale illusione. Non si può dire impassibilità la ricerca della storia umana, della verità più desolata e certa, l'amore per la terra natale, per i grandi beni della vita: la bellezza, la libertà, la patria. Impersonale vuol essere la forma, per cui L., superando il facile romanticismo, si vieta le effusioni, e, convinto del sacro ministero del poeta, con vasto afflato canta la pena secolare degli uomini. È, nei momenti più felici, l'impersonalità dei classici: nella forma bronzea, impeccabile, scorre il fremito del cuore e della musica segreta. È la voce poetica del più nobile pensiero dopo la metà dell'Ottocento, dicendone l'austera aspirazione alla verità, accettata come solo pregio della vita. Leonardo VITETTI - Treccani.