Dettagli
Anno di pubblicazione
1860
Autore
Casti, Giovanni Battista (Acquapendente 1724 - Parigi 1803)
Editori
Senza indicazione dello stampatore
Soggetto
letteratura italiana, satira, umorismo, erotica
Descrizione
Buono stato, lievi segni d'uso sulla sguardia del secondo volume e sui bordi dei piatti; l'indice manoscritto è incollato in parte sul margine dell'ultima pagina del tomo III, senza coprire il testo.
Descrizione
Cinque tomi legati in due volumi in mezza pelle verde con titoli e filetti dorati sui dorsi, in ottavo piccolo cm 15 x 10, pp (4) 210, (4) 179 (1), (4) 198 (2), (4) 202, (4) 207 (1), ciascun tomo con antiporta xilografica. In calce al primo volume un indice manoscritto delle novelle comprese nei tre tomi in esso compresi, su una carta applicata tra l'ultima pagina e la carta bianca finale. Buono stato, lievi segni d'uso sulla sguardia del secondo volume e sui bordi dei piatti; l'indice manoscritto è incollato in parte sul margine dell'ultima pagina del tomo III, senza coprire il testo. Edizione popolaresca, stampata alla macchia attorno al 1860 con luogo di stampa Capolago e affine a quelle segnalate da Passano (Novellieri italiani in versi, p. 160) «a spese dell'editore» di Lugano 1860 e Italia 1863, con le quali condivide l'impostazione in 5 tomi e le tavole di fattura decisamente grossolana. Una prima raccolta delle licenziose novelle in versi del sacerdote aquesiano, composta di soli 12 «componimenti turpi e contro la religione» (ivi), apparve a Parigi nel 1793, e fu seguita da una moltitudine di edizioni stampate nel primo Ottocento tra Italia, Francia e Svizzera, spesso con luogo di stampa falso o immaginario. La ruspante edizione qui proposta contiene tutte le 48 novelle di quella che Parenti indica come come «edizione principe» (Rarità bibliografiche VI, p. 120-122) e non è priva di rarità, essendo presente in ICCU nella sua interezza nella sola Biblioteca Statale di Cremona. Recitate dall'autore «ai banchetti di Milano» e nei salotti di mezza Europa, le novelle suscitarono la curiosità di Casanova, Goethe, Giovanni Meli e altri intellettuali, nonostante le accuse di indecenza. Boccaccesche, liberatorie e dissacranti, le Novelle valsero al Casti il disdegno di Foscolo («Ei non aveva urbanità di facezia, né fantasia pittrice di descrizioni, né proprietà di vocaboli, né ricchezza di frasi, né novità di stile (.) par ch'ei volesse, non solo accattarsi coll'oscenità il favore dei disonesti, ma corrompere tutti in guisa da giustificare l'apostasia e il sacrilegio») e di Manzoni, che lo chiamò «uomaccio»; Tommaseo vi riconobbe un «misto di grazia e di goffaggine; meno lungheria che nel Boccaccio, ma più sozzura» e affermò che «fosse stato men sudicio, la poesia di lui si sarebbe tenuta più in alto (.) ma l'Italia non lo chiamerà mai suo poeta». Le accuse di lascivia e di povertà stilistica a lungo oscurarono «il messaggio politico e civile del malfamato Casti» (Nigro, DBI) e la sua influenza sul Belli e sullo stesso Manzoni (ivi).