In 8° piccolo (14,5 x8,5 cm); (200) cc. nn. Bella legatura realizzata tra la seconda metà del seicento ed i primissimi del settecento, con titolo manoscritto da mano coeva al dorso. Ex-libris novecentesco di Ludovico de Gobbis applicato al recto del piatto anteriore. Tagli azzurri. Piccolissima perdita di carta al margine interno bianco delle carte C1 e C2, assolutamente ininfluenti e presenti prima della stampa del volume e nel complesso, esemplare in ottime condizioni di conservazione. Xilografia di duellanti al frontespizio, iniziali xilografiche, testo in corsivo. Il nome dellautore, Paride Dal Pozzo, si ricava dallintitolazione a carta B1r. Il nome degli stampatori, Pietro Ravani e Melchiorre Sessa il vecchio, si ricava dallanalisi del materiale tipografico. Fra le edizioni più rare e fra le primissime edizioni in lingua italiana stampate a Venezia dellimportante opera del celebre giurista italiano, conosciuto anche con il soprannome de Il Puteo, Paride del Pozzo (in latino Paris de Puteo, Pimonte in provincia di Napoli, allepoca nel Ducato di Amalfi ad un paio di miglia da Castellamare, 1410 Napoli, 1493). Poca documentazione certa esiste sulla sua vita tanto che la maggior parte delle sue notizie biografiche arrivano da studi del sei-settecento. Per comprendere la difficoltà di ricostruire le vicende giuridiche basti ricordare cosa scrive Ennio Cortese nel Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 32 del 1986 edito da Treccani, nella voce dedicata a dal Pozzo nel tentativo di ricostruire il percorso universitario dellautore: il Chioccarelli (dal quale traggono Toppi, Tafuri e altri) parla di Roma, Pavia, Firenze, Bologna, Perugia; il Giannone aggiunge per errore Milano; il De Fortis preferisce Padova a Pavia; il Giustiniani, con argomentazioni imperfette, limita la rosa a Padova, Firenze e Ferrara. In realtà, le sole informazioni che il D. stesso offre alludono a soggiorni in Toscana e a Bologna; in questa città, daltronde, poté udire nei primi anni 40 tutti i suoi maestri. Ma non vi conseguì la laurea, né daltronde il suo nome è rintracciabile altrove in alcuno degli elenchi di dottorati pervenutici. A Bologna egli compare ancora nel 1445 soltanto come bacalarius in decretis: il titolo, usuale nelle scuole di teologia, ma non in quelle italiane di diritto, è tuttavia esplicitamente ricordato nella riforma del Collegio dei dottori giuristi stabilita da Giovanna II nel 1428, sicché appare plausibile che il D. avesse compiuto buona parte dei suoi studi a Napoli. Quello che è sicuro è che una volta laureato, se dalla città partenopea si era allontanato, tornò a Napoli dove ben presto, si fece apprezzare per la sua preparazione e arguzia. Qui entrò al servizio della corte aragonese e di Re Alfonso, ricoprendo diversi incarichi pubblici quali, ad esempio, auditore generale e inquisitore generale di tutto il regno. Alessandro Manzoni lo ricorda come uno strenuo oppositore della tortura come mezzo dindagine. Fra gli incarichi che occupò cè anche quello di Commissarius regni con ampi poteri per la repressione della criminalità e giudice della Vicaria intorno al 1473. Autore prolifico, scrisse diverse importanti opere, per lo più a carattere giuridico che furono molto apprezzate al suo tempo e gli portarono fama, bel al di là dei confini del regno aragonese. Dal Pozzo intuì la portata della nuova invenzione della stampa a caratteri mobili, volendo ben presto riprodurre le sue opere principali, con questa nuova tecnica. Come scrive sempre Cortese, Lopera maggiore, il De syndicatu, rivela una formazione graduale che si colloca tra la prima stesura imperfetta, surrettiziamente sottratta allautore e stampata con i tipi di Riessinger verso il 1473, e la redazione definitiva, profondamente rimaneggiata, apparsa nel 1485 per le cure e le spese di Francesco del Tuppo. Fu autore anche di trattati di argomento diverso rispetto al diritto come De Ludo ed appunto, il noto trattato dedicato al duello, argomento di grande interesse tra quattrocento e cinquecento in tutte le corte europee. Già Matteo DAfflitto (In Const., I, In quaestionibus, n. 3) osserva che il De duello si ispira al duecentesco De pugna di Roffredo da Benevento, e in effetti interi passi appaiono copiati (H. Kantorowicz, De pugna, in Rechtshist. Schriften, Karlsruhe 1970, p. 270). La traduzione in volgare fu curata dal D. stesso (L. Nicodemi, Addizioni a N. Toppi, Biblioteca napoletana, Napoli 16833 p. 197) ed edita nel 1475 (Copinger) o 1476-77 (Fava-Bresciano) o 1477-78 (Indice generale degli incunaboli: indici I.G.I.); nel 500 apparve ripetutamente anche una traduzione in castigliano. Se il De ludo meritò una terza edizione incunabola a Pavia, per Cristoforo Cane, nel 1495, lopera latina e volgare sul duello ebbe numerosissime stampe soprattutto nella prima metà dei Cinquecento; delloriginale latino resta oggi un ms. a Bergamo (Biblioteca civica, ? VI. 32). (Ennio Cortese, Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 32, Treccani, 1986. Edizione fra le più rare di uno dei più celebri trattati sul duello, in ottime condizioni di conservazione. Rif. Bibl.: ICCU IT\ICCU\BVEE\002357; Essling 2095; Sander 5414; Olschki Choix 1°, n° 305, V° N 5162; Heym IIa 501.